Ben arrivato Nicola e grazie per concederci questa breve intervista. Nella sua carriera ha lavorato nell’Inter, nella nazionale algerina e ora nel Psg. Però ho letto che il calcio non le è mai piaciuto. Cosa non le piace di questo mondo e cosa secondo lei andrebbe cambiato/migliorato?

Io penso che in generale tutto lo sport debba veicolare dei messaggi educazionali perché poi chi vivrà di sport su 100 atleti giovanissimi è solo una piccola minoranza. Mia mamma mi diceva sempre: “Chi rispetta le regole dello sport probabilmente ha molte possibilità di diventare un buon cittadino e di rispettare le regole della società”. Ecco questo nel calcio è assolutamente negato perché l’arbitro, colui che deve far rispettare le regole, è il più vessato, il più offeso di tutto l’ambiente calcistico. Dunque, non dobbiamo meravigliarci se il calcio veicola dei messaggi di cattiva educazione perché se non rispetto chi è deputato a far valere le regole, come posso essere poi un buon cittadino che rispetta le regole della società? Manca il punto principale che è l’educazione e la formazione alla civile convivenza del cittadino; cosa che ritrovo, invece, in altre attività sportive, soprattutto negli sport individuali “poveri”.
Gli sport che sono stati monetizzati o esposti mediaticamente hanno dimenticato e accantonato il concetto sportivo. Il fatto di essere sempre e costantemente sotto i riflettori esalta il nostro ego e il nostro egocentrismo, invece lo sport è umiltà, è capire i propri limiti e non mostrare la propria superiorità nei confronti dell’avversario. Questi sono bruttissimi messaggi e spesso più sei mediatico più esce il peggio di te.

 

Come la medicina, anche le tecniche di riabilitazione e di preparazione atletica cambiano ed evolvono rapidamente, quindi è necessario essere sempre aggiornati. Come si concilia l’aggiornamento con il proprio lavoro?

Io sono sempre stato un aziendalista, quindi ho sempre lavorato per le varie società in modo molto aziendale. Poi io ho una regola: mi alzo alle 6 di mattina e leggo una serie di articoli scientifici finché non trovo qualcosa che non conosco. Adesso, siccome lo faccio da quando sono studente, se dovessi cominciare alle 6 di mattina e aspettare di leggere qualcosa che non so, aspetterei fino alle 23 di sera; quindi mi sono dato un target di tre articoli scientifici.
Al di là di questo, la necessità di aggiornamento non è vera solo in ambito scientifico, ma è vera in ogni ambita lavorativo e manuale. Al giorno d’oggi, in un mondo che purtroppo o per fortuna va ai mille all’ora, l’aggiornamento è essenziale a tutti i livelli.
Il problema è che a una certa età non hai più voglia di metterti in discussione e fisiologicamente la vita ti porta a fermarti, ma questo è giusto che sia così. Quando sei giovane hai molto entusiasmo e curiosità, ma a un certo punto la vita porta ad appiattirti e l’energia e la curiosità vengono meno, anche se non per tutti è così.

 

Come si capisce quale sia la tecnica riabilitativa migliore per un giocatore infortunato, quando si hanno diverse alternative a disposizione? E le è mai capitato di utilizzare un giocatore come “cavia” applicandogli una tecnica innovativa che non aveva mai sperimentato e della quale non era certo dell’esito positivo?

Intanto bisogna sempre pensare che la centralità deve essere il paziente. C’è una chirurgia che deve fatta su misura per il paziente, che la deve accettare e condividere fin dal primo istante.
I consigli chirurgici sono sempre difficili e impegnativi; il nostro ruolo è quello di consigliare al meglio il paziente senza imporre le nostre scelte. È giusto che il paziente faccia la propria scelta, noi dobbiamo dargli consapevolezza perché non sempre il paziente ha gli strumenti per fare una scelta ottimale.
Generalmente se c’è un quadro clinico che permette una scelta tra un piano conservativo e uno chirurgico, una delle regole della medicina è andare dal minimo dell’invasività al massimo della stessa. Poi non sempre la scelta che si compie si rivela essere la migliore e, talvolta, può fallire, ma questo fa parte del gioco, del rischio e della medicina.

 

Ad oggi riveste il ruolo di coordinatore del dipartimento performance del Psg. Nel calcio dilettantistico, dove i giocatori non si allenano costantemente durante l’estate e dove non seguono una dieta specifica come i calciatori professionisti, quale ritiene che sia il metodo di preparazione atletica più adatto per iniziare al meglio la stagione, riducendo il più possibile al tempo stesso il pericolo di infortuni?

Ci sono degli sport con grande connotazione tecnica e sport con grande connotazione fisica; in mezzo ci sta tutto.
Nel calcio non è necessaria questa grande prestanza fisica, ma c’è una parte importantissima dal punto di vista tecnico. Certo c’è anche una parte atletica che è bene avere e mantenere, ma non è tutto. Dal punto di vista salutistico, sarebbe importante mantenere una vita sana.
Nel calcio ci sono parametri che sono facilmente costruibili con allenamenti alla portata di tutti i dilettanti, basta farlo in modo costante, senza pensare che con il ritiro si risolvano tutti i problemi. Anzi il ritiro è fare le cose a rovescio perché si inverte il modo di fare le cose: l’atleta viene da un periodo di scarsa o nulla attività fisica e comincia con una programmazione intensa e dura, per cui è anche più facile infortunarsi.
Il processo di allenamento non deve durare soltanto nel periodo estivo o preparatorio ma durante tutto l’anno in modo programmatico e sistematico, cosa che generalmente non si fa. Non c’è nessuna ragione metodologica e fisiologica che possa avvallare la tesi per cui quando si torna dalle vacanze dopo un periodo di bassa attività fisica, si debba iniziarsi ad allenare due volte al giorno per cinque giorni di fila. A dimostrazione che nel calcio si fanno le cose al contrario.

 

Mattia Dallaturca