Ben arrivato Enrico, iniziamo subito con la prima domanda. La sua carriera è iniziata nella Lucchese, in Serie B ed è arrivata fino alla Nazionale (come responsabile medico), vincendo un Mondiale. Le chiedo, come cambia ed evolve il modo di lavorare nel tempo e quanto costante aggiornamento richiede il suo mestiere?

Allora partiamo da un presupposto: io ho vissuto due vite parallele una, quella ospedaliera e universitaria che mi ha portato ad essere il Direttore di Dipartimento, e la seconda, che è quella nel mondo del calcio.
A riguardo ho iniziato a Lucca perché ero primario a Lucca e quindi facevo il consulente alla Lucchese. A quei tempi era una grande squadra che lottava per salire in Serie A. Poi sono stato all’Empoli, ma avevo fatto il consulente alla Juventus. Ero limitato a quelle zone perché ero Primario, dunque ero un po’ vincolato.
Dopo sono stato chiamato in nazionale, dove ho passato tantissimi anni e ho vissuto grandi emozioni, ma anche grandi delusioni.
Inoltre, per non farmi mancare niente, sono stato anche in Cina al Guangzhou con Lippi, dove abbiamo vinto la Champions League asiatica, e ho fatto anche il responsabile medico della nazionale cinese.

 

Possiamo dire che anche lei ha fatto la gavetta prima di arrivare al successo. La ritiene un’esperienza formativa importante e che le è stata utile, o si sarebbe sentito pronto per compiere subito il grande salto?

Assolutamente, non c’è dubbio. Ribadisco, la mia carica di medico di campo, supportata dal fatto che ero un chirurgo ortopedico, mi ha permesso di fare esperienze a tutti i livelli. L’esperienza è fondamentale: oggi un medico sportivo che non ha esperienza di campo si trova in difficoltà.

 

Lei ha un compito molto delicato perché deve seguire i giocatori nel percorso di recupero dopo un infortunio. Le è mai capitato di suggerire una terapia che si è rivelata essere poco adatta al problema del giocatore?

Mi è capitato di tutto nella vita (ride, ndr). In quarant’anni di carriera ho affrontato diverse situazioni, compresa questa. In questi casi la cosa migliore da fare è cambiare e trovare una cura più adatta.

 

Oltre al danno fisico il giocatore infortunato può subire anche un danno psicologico. Voi siete preparati da quel punto di vista per tenere alto il morale del giocatore? Cosa si fa in quel caso per non farlo abbattere anche se i tempi di recupero potrebbero essere abbastanza lunghi?

Nel mondo professionistico si cerca di dare tutto a un giocatore, forse anche troppo a volte rispetto a un mondo dilettantistico che invece vive questi problemi sulla propria pelle.
Molto dipende anche dal soggetto e dal suo carattere; c’è chi è più forte e chi è più sensibile e psicolabile per cui anche un infortunio che lo tiene lontano dai campi per qualche mese può mandarlo in crisi. In questi casi si cerca di stargli vicino il più possibile. Il supporto psicologico viene dal medico, ma anche dagli amici e dalla famiglia, oltre che da se stesso.
Io dico sempre ad un atleta infortunato che gli attributi si vedono in questi momenti, non quando va tutto bene e non c’è nessun problema. È quando sei infortunato che bisogna dimostrare la propria forza!

 

Nei professionisti, diversi allenatori si lamentano del fitto calendario di partite che li vede costretti a giocare ogni 3 giorni. Lei è favorevole a questo tipo di calendari o anche secondo lei si gioca troppo e c’è rischio (come spesso accade) di perdere diversi giocatori per infortuni muscolari?

Allora primo, quest’anno c’è il mondiale e di conseguenza c’è stata una preparazione diversa, tesa a far rendere al massimo fin dall’inizio i giocatori; secondo, a livello di top club si gioca ogni tre giorni e quindi c’è un sovraccarico incredibile.
Preparazione forzata e sovraccarico anormale hanno portato a tutti gli infortuni e problemi muscolari che ci sono adesso. Non è stata una casualità, ma una diretta conseguenza di tutte queste cause.
Ultima cosa, il turnover è necessario: o si cambia mentalità e si fa veramente turnover, o se si continuano a far giocare sempre gli stessi 12/13 gli infortuni non caleranno.

 

Mattia Dallaturca